QUEL GIORNO RUBBIA MI DISSE...

Carlo Rubbia ha la stazza dell'uomo burbero, non guarda ma traguarda, quando parla spiega, quando capisce che non tira aria sbatte la porta.

Quando per la prima volta sento parlare delle sue gesta non avevo ancora scollinato la maggiore età. 1984 inoltrato. Gli sbatto addosso in un viaggio di mezza estate verso Cagliari. Treno lento ma sicuro. Accartocciato sul sedile della carrozza un Corriere della sera ancora formato elefante. La prima pagina apre a titoli cubitali: un certo Carlo Rubbia aveva vinto il premio Nobel per la fisica. Le motivazioni non lasciano adito a dubbi: roba per chi ama complicarsi la vita. Moltiplicatore di energia, bosoni e teorie varie.Provo a leggere.La sintesi è presto tratta: questo signore scruta l'ignoto, traguarda un orizzonte invisibile e vola troppo in alto per essere capito.Insomma,scelgo la strada della volpe che non arriva a cogliere l'uva: è acerba. Ma nonostante tutto non mi rassegno, strappo la pagina, la piego e la ripongo nella cartella delle cose varie.

Da quel momento, nel mio immaginario collettivo, Carlo Rubbia entra nel novero di coloro a cui è affidato il compito superiore di far luce. In tutti i sensi. Luce verso l'ignoto, luce verso il buio.

Passano gli anni. E le vicende della vita riservano sorprese che mai e poi mai avresti pensato di vivere.

Il direttore generale della presidenza mi sussurra: le ricordo che c'è da nominare il presidente del Parco scientifico e Tecnologico della Sardegna.

Il dossier è sulla scrivania del Presidente della Regione.

Non lo apro. In quei pochi mesi di guida del Palazzo avevo imparato a considerare le nomine come il peggior esercizio della politica famelica. Per ogni incarico da assegnare bisognava chiamare il farmacista delle nomine. Colui che pesava gli incarichi, valutava il peso elettorale dei singoli e dei partiti e poi proponeva la ripartizione, o meglio la spartizione.

Avevo ben chiaro cosa fosse il Parco scientifico e tecnologico: un potenziale unico nel suo genere, rimasto sino ad allora incompiuto, senza acqua, senza corrente, senza viabilità. Vuoto, vuoto di idee e di prospettive. Avevo messo a correre un piano fulmineo per completare la nostra Silicon Valley. Cantieri aperti ad oltranza. Sino all'inaugurazione.

Al sol pensiero di affidare la nomina al misero metodo della spartizione preferivo tener chiuso il dossier.

Ho solo una speranza per tentare di mettere spalle al muro chiunque osasse avanzare la candidatura dello scienziato del pianerottolo o del compagno di giochi, pur di accaparrarsi la nomina.

Non mi resta che la carta del Premio Nobel, rompere gli schemi, alzare il tiro, volare alto.

Del resto, rifletto tra me e me, quell'uomo chiuso nelle caverne di Ginevra non sognerà di godersi un pò di buon sole sardo? Non vorrà Carlo Rubbia mettersi in gioco in una terra difficile?

In molti mi ricordano che dalla Sardegna se ne era andato via schifato, sbattendo la porta, per giochi e giochetti di potere che volevano imporgli.

Chi aveva collaborato con lui agli inizi degli anni '90 mi dice di lasciar perdere. Non tornerà, mi ripetevano. Cerco di farmene una ragione. Ma non demordo. Chiedo una scheda delle sue ultime attività, un quadro esatto delle sue esplorazioni scientifiche.

Gli occhi mi cadono su Priolo: centrale sperimentale di termodinamico solare. Approfondisco. Non pannelli fotovoltaici. Non pannelli piatti, ma delle vere e proprie parabole convesse per la moltiplicazione dell'energia solare. Archimede docet. In pratica specchi e sali che moltiplicano all'ennesima potenza il calore del sole.

A studiare questo modello è Carlo Rubbia.

Lo chiamo. Mi preparo al piglio burbero che mi avevano preannunciato. Metto nel conto anche il tonfo del telefono buttato giù. Previsioni smentite.

Professore, ho bisogno di parlarle. Mi dica dove la posso raggiungere.

Il sol gesto azzera il pregresso. Rubbia, il fisico fattosi scienziato, rilancia: se per lei va bene, nelle prossime 24 ore la raggiungo in Sardegna.

Quando varca la soglia di villa Devoto, sede della presidenza della regione, le immagini emozionate si accavallano con quelle della prima pagina stropicciata e riversa sul sedile della carrozza treni nel lontano 1984.

Faccia a faccia. Io e lui, il Premio Nobel per la fisica.Quello che doveva fare luce, dove c'era buio. Un'elettricista dell'universo. Penso mi dirà di no, ma non sbatterà la porta.

Prendo coraggio. L'esordio è diretto: siamo una terra che continua ad arrancare, ad inseguire, senza orizzonte e senza sfide.Con lei vorrei che la Sardegna iniziasse ad osare: smettere di essere inseguitori e diventare apripista. La nostra isola ha bisogno di un uomo come lei per perseguire un progetto innovativo, lungimirante, strategico.

Esplicito: non ricerca fine a se stessa. Non sui massimi sistemi, non ce la possiamo permettere.

Oso: vorrei chiederle di guidare un progetto innovativo, per fare della Sardegna l'isola del sole. Mi piacerebbe vedere la nostra terra marciare con la forza della natura, dai pomodori agli agrumi, dall'energia per le macchine a quella per condizionare le case. Le chiedo di assumere la presidenza del parco scientifico e tecnologico della Sardegna, del comitato strategico per la ricerca e del progetto della Sardegna Isola del sole.

Mi guarda. Non parla. Prende fiato. Vorrebbe rovesciarmi addosso tutto quello che ha patito nel suo passato sardo. Ma rinuncia. Clemenza, per la giovane età del suo interlocutore.

Rubbia è uomo navigato e rilancia: sarei in quota ad un partito? La mia nomina sarebbe in capo ad uno schieramento?

Azzardo e replico: la sua nomina sarebbe in capo al Popolo Sardo.

Va bene, mi risponde. Lei non mi conosce,mi dice, ma la sfida che mi propone mi entusiasma. Sono uno che non riesce a fare niente in Italia, ovunque ci sono intrallazzi di ogni genere. Sono ben felice di provare a farlo in Sardegna. E sono entusiasta di poter contribuire a valorizzare le immense distese di petrolio che ha la vostra isola.

Petrolio? Come petrolio?

Mi pervade la sensazione di essere stato poco chiaro. Il volto corrucciato evidentemente tradisce l'incomprensione. Capisce e mi toglie subito dall'imbarazzo.

Il professore sale in cattedra: mi piace l'idea dell'isola del sole, ma vorrei farle capire di cosa stiamo parlando. Per esempio: se potessimo utilizzare tutta l’energia solare, raccoglieremmo ogni anno un barile di petrolio per metro quadrato. Un dono di Dio. La nostra sfida è come utilizzarlo.

Esplicita il concetto: l’Arabia Saudita, il principale esportatore mondiale di petrolio, riceve ogni anno dal sole mille volte più energia di quanta ne esporti sotto forma di petrolio.

Apre scenari e traccia il piano che sogno: dobbiamo cercare di sostituire il petrolio con il sole, le macchine dovranno andare sostanzialmente ad acqua ed emetteranno vapore acqueo dal tubo di scappamento. Lo possiamo fare con il termodinamico solare, che dobbiamo avere la capacità tecnica e scientifica di trasformare in idrogeno.

Dobbiamo insomma accumulare l'energia solare e renderla fruibile sempre. L'idrogeno è la scomposizione dell'acqua e il sole, attraverso il termodinamico, è lo strumento per realizzare questo processo.

Traduce: 800.000 auto in Sardegna potrebbero tranquillamente andare ad Idrogeno. Una scommessa per il futuro unica nel suo genere.

Rubbia diventa Presidente del Parco e avvia il progetto della Sardegna Isola del Sole.

La politica non gradisce. Mi fanno pesare la nomina. E se ne fregano del fatto che la Sardegna sarà all'avanguardia nel mondo. Resisto.

A luglio del 2003, fine mese, il sottobosco della politica mi passa il conto. La mia esperienza di governo si interrompe. Rubbia, però, va avanti. Mi informa settimanalmente dell'avanzamento del progetto. Fa finta di non accorgersi che non sia più presidente.

Alle elezioni regionali, nel 2004, mi affida, come contributo alla causa, una macchina sperimentale ad idrogeno. Il sogno di una quattro ruote che va sostanzialmente ad acqua. Vapore acqueo dal tubo di scappamento.

Le elezioni non vanno bene. I sardi mi fanno pagare le risse di una politica che ho dovuto subire. Dopo qualche mese Rubbia lascia, sbatte la porta e se ne va. Verso la Spagna. A realizzare il progetto pensato per la Sardegna.

La cronaca dei giorni nostri scorre come un fiume in piena.

Dopo aver sprecato la grande opportunità di essere apripista nel termodinamico solare, la Sardegna ora è alle prese con faccendieri e affaristi d'alto bordo che vorrebbero non solo sfruttare sole e campagne della nostra terra, ma persino incassare centinaia di milioni di euro all'anno di incentivi rubati dalle bollette anche dei sardi.

E' tutta qui la drammatica lezione del termodinamico solare.

In quegli anni pensavo ad una regione protagonista, capace di gestire in proprio quel progetto. Individuare le aree, marginali e degradate, mai e poi mai quelle agricole, governare il processo di incentivazione tutto funzionale all'abbattimento del costo energetico e investire in ricerca applicata.

Ecco, oggi, dinanzi a questo mortificante proscenio di affaristi e clan di partito vorrei dire: siate Sardi, prima che uomini di partito. Non siate inseguitori ma apripista.

Abbiate il coraggio di dire no a questa losca speculazione di palazzo, ma nel contempo sappiate dire Si a quei progetti innovativi, come il termodinamico solare, gestiti nelle aree appropriate e non certo in quelle agricole, con una Regione lungimirante e apripista capace di governare con lungimiranza questi processi strategici per il proprio futuro.

Ho il rammarico del tempo perso,l'amarezza dei progetti devastati dalla mala politica, la rabbia verso gli speculatori che vogliono ridurre la Sardegna ad una colonia di Stato.

Ho, e sento forte,però, la convinzione che non dobbiamo mollare.

Dobbiamo reagire, resistere e rilanciare.

Dire di No al malaffare e urlare un Sì deciso e determinato per una terra e un popolo che devono essere protagonisti del proprio futuro. Medas,sabios e Unidos.