GRAZIE ANGELO, PROFESSORE DI VITA CON LA SCHIENA DRITTA E LA TESTA ALTA

Per una vita mi ha ripetuto: non correre per il pubblico, non correre per il tempo, non correre contro l’avversario, corri per agguantare l’obiettivo che ti sei dato. Angelo De Fraia aveva studiato sui libri ma le sue lezioni non le trovavi nei paragrafi della teoria. Per tutti era il professore, ma oggi, nel giorno del suo addio, i tanti figli della sua scuola giunti da ogni angolo della Sardegna lo hanno salutato come un Padre.

Gli uomini sardi più veloci di sempre, quelli che ne hanno attinto segreti e insegnamenti, rigore morale e serietà nella vita erano lì stamane per l’ultimo saluto al loro allenatore – padre.

Saluto austero, come insegnò nella vita. Niente fronzoli, li detestava.

Diretto, severo e rigoroso. Lui insegnava la vita, ancor prima delle gesta sportive. E in tanti oggi glielo riconoscono a voce alta. Generazioni di studenti, ma soprattutto loro, gli uomini d’oro della gloriosa Monteponi, capaci di conquistare podi d’oro in ogni dove e alfieri ovunque di quella lezione di vita di cui Angelo era stato l’artefice.

Quando da piccolo ogni santo giorno arrivavo nello stadio di carbonella, il mitico Monteponi ad Iglesias, dovevo stare negli spalti in attesa che mio padre finisse gli allenamenti. Scrutavo dalle gelide o bollenti gradinate le gesta di quei campioni che si esercitavano nell’antica e primordiale disciplina dell’atletica leggera. Tutti zozzi di carbone, da cima a fondo. Non esisteva un fondo pista più nero di quello. Carbone, appunto.

Lui, invece, il professore, in mezzo al campo di polvere. In camicia bianca, perfetta, inamidata di tutto punto. Non urlava, da lui solo cenni e sguardi. Mimava i sincronismi: braccia alte verso il viso, ginocchia verso il cielo.

E poi le parabole dello sport trasfuse nella vita. Prima che con le gambe si deve correre con la testa, continuava a ripeterci. E alla testa di ognuno dei suoi atleti si rivolgeva per infondere passione e rigore, tecnica e determinazione.

Da atleta prima, dai mondiali in Germania alle competizioni europee, e da maestro di sport poi, il professore aveva sempre pensato all’agonismo come una grande lezione di vita: dove si vince e si perde, dove si lotta senza risparmio di energie, dove ci si rispetta tra compagni di squadra e avversari.

Alla sua corte i migliori atleti di sempre, velocisti prima di tutto. Olimpionici e recordman imbattuti per decenni. Soprattutto squadra.

Ecco, oggi al suo addio si toccava con mano quella famiglia che si ritrova, ognuno con la sua storia personale, di successi e di conquiste, di sacrifici e difficoltà. Si abbracciano tutti come dopo quel cambio della staffetta riuscito alla perfezione, così come Angelo gli aveva insegnato.

Il professore aveva teorizzato tutto, da quel “testimone” bastoncino che scorreva in meno di 10 secondi da una mano all’altra dei suoi atleti staffettisti a quella partenza dai cento metri che aveva analizzato in ogni microfrazione nella sua tesi di laurea. Tecniche da far invidia alla scuola russa e tedesca, da Armin Hary a Valery Borzov. Li aveva analizzati in ogni frazione di secondo alla moviola e ammetteva: possiamo fare di più e meglio, nonostante la carbonella.

Alzava l’asticella, perché – ripeteva - non bisogna mai rivolgere lo sguardo ai piedi ma sempre all’orizzonte.

Ecco, Angelo De Fraia ha sempre preteso ad ognuno dei suoi atleti di non fermarsi mai al possibile ma di traguardare ciò che appariva irraggiungibile.

Per me è stato diverso. La sua lezione è durata una vita, dalla pista in carbonella alla mattina all’alba in Municipio, passando per quella scuola di cui era di fatto il Preside e leader indiscusso.

In terza superiore mi disse: devi presentarti alle elezioni studentesche. Gli chiesi il motivo e mi rispose: abbiamo una scuola vecchia che cade a pezzi e al posto della palestra abbiamo uno scantinato. Non sapevo da che parte iniziare. Sapevo solo che i miei/nostri avversari sarebbero stati i giovani democristiani e comunisti, sponsorizzati da docenti e genitori. Gli chiesi come avrei dovuto fare. Mi rispose: arrangiati, conosci l’obiettivo raggiungilo.

Era duro, non ammetteva rinunce. Vincemmo con cappotto. La scuola fu costruita nuova e con palestra all’avanguardia.

Finita la scuola mi disse: ti devi candidare alle comunali. Gli chiesi perché e mi rispose: le miniere chiuderanno e bisogna pensare al dopo.

Gli spiegai che i partiti tradizionali pensavano a me come ad un rompiscatole, un moccioso che vuole ficcare il naso in cose più grandi di lui.

Non mi rispose. Come rassegnato all’idea che non avessi imparato niente della sua lezione.

Capii il muto richiamo. Chiamai a raccolta compagni di squadra, di banda musicale, di scuola. Nacque in 24 ore la prima lista civica della città. Fu una battaglia campale. Fui stravotato ed entrai in consiglio comunale con uno dei suoi allievi più brillanti, Vittorio Trentin e l’amico Giovanni Corriga.

Era il 1990. In tre anni fu trincea su tutti i fronti. Assemblee in piazza, nei quartieri, in ogni angolo della città noi c’eravamo. E lui pure, nascosto nell’angolo remoto a guardare i suoi allievi. Riservato, come tutta la sua vita.

Nel 1993 cade l’amministrazione di centro sinistra. Per la prima volta si elegge il sindaco direttamente, senza intermediazioni dei partiti.

Questa volta, quella più delicata, non proferisce una parola: sai quello che devi fare.

Il 5 dicembre del 1993 divento Sindaco. Lui non c’è. Non è lì. Non amava i festeggiamenti. L’indomani alle sette del mattino, però, quando arrivo in Municipio lui è già lì. Guarda l’orologio, come per dire non perdere altro tempo.

Mi abbraccia e se ne va, forse commosso.

Ogni santo giorno per sette anni tutte le mattine o quasi è nei paraggi. Per traguardare l’asticella, per alzarla ogni giorno di più, per ricordarmi che bisogna osare. Sguardo, mani che mimano, segni e simboli di quella corsa della vita che egli ci ha insegnato.

Angelo De Fraia è quel maestro di vita che in tanti avrebbero voluto avere.

Ci ha lasciati nel silenzio, con la dignità e la modestia di un uomo che ha saputo insegnare tanto a tanti.

Oggi nel giorno del suo addio quel suo testimone passato di mano in mano resta il più fervido ricordo di un uomo straordinario che ha saputo trasformare atleti in uomini con schiena dritta e testa alta.

Grazie Angelo, mio e nostro maestro di vita. Ci mancherai, ma i tuoi insegnamenti saranno sempre con noi.

Un abbraccio di cuore all’amata moglie Franca, ai suoi dolcissimi figli Paolo, Francesca e Titti.