QUELLA VITA SPEZZATA, QUATTRO OSPEDALI PER UN PARTO

Ci sono drammi che si possono commentare solo con il silenzio. Altri per i quali il silenzio non è sufficiente. La morte della giovane madre di Iglesias ferisce un'intera comunità e pone interrogativi che non vanno omessi, seppur nel profondo rispetto del dolore.

Vanno posti, non per la mera ricerca della polemica, della contestazione, ma per fare chiarezza, per evitare semmai che si piangano altre madri e altre morti.

Ho il dovere morale innanzitutto di auspicare chiarezza, non foss'altro per quella immensa fiducia che in tanti mi hanno sempre accordato nella mia città.

Ho il dovere di farlo e non sarei sereno né con la mia coscienza tantomeno con i miei concittadini se non lo facessi.

Parto da una prima certezza: sono convinto, anzi ne ho la certezza, che i medici, il personale paramedico, abbiano fatto di tutto e di più per salvare la vita della giovane madre.

Detto questo, però, da osservatore dei fatti ho il dovere di rilevare e far rilevare che qualcosa non ha funzionato.

Non certo per responsabilità dei medici ma per una gestione della sanità pubblica in Sardegna, nel Sulcis in particolar modo, che conferma disorganizzazione e malasanità.

Non so quanto questi episodi possano aver inciso nella vita di questa giovane ragazza, spero sia la magistratura a fare chiarezza su questo punto, ma resta la scansione temporale di quel parto a generare molti dubbi e tante perplessità.

La sequenza è chiara: sabato mattina il parto cesareo al Cto di Iglesias, nascono i due gemellini, la sera di sabato le prime avvisaglie di qualcosa che non sta andando per il verso giusto. Alle 23 di sabato scatta l'allarme sangue. La procedura che viene messa in campo è da brivido. I telefoni degli ospedali si rincorrono. Al Cto non c'è il sangue. Non c'è nemmeno al Santa Barbara. Occorre tipizzare il sangue della paziente. Il personale per questa operazione non è in servizio. Si deve allertare l'autista reperibile che vive fuori Iglesias. Deve andare al Santa Barbara, prelevare il frigomedico, andare al Cto prendere le provette del sangue della paziente e correre a Carbonia, ospedale Sirai, attendere la lavorazione e ritornare al Cto con il plasma. Non bastano due ore. Le sacche del sangue non sono sufficienti. Nel cuore della notte ne serve altro. Si salta solo la procedura della tipizzazione, già fatta in precedenza. Ma il percorso è analogo. Corsa al Sirai a Carbonia e ritorno, un'altra ora almeno per raggiungere Iglesias.

Qui, la prima domanda: perchè nell'ospedale Santa Barbara non esiste più la scorta per le emergenze?
Perchè i frigomedici portatili sono dislocati al Santa Barbara e non, invece, al Cto dove ci sono i reparti? Perchè perdere un altro quarto d'ora preziosissimo per i pazienti?

Non è finita. L'indomani, siamo a Domenica, la situazione è grave. Viene disposto il trasferimento al reparto di rianimazione dell'ospedale Santa Barbara. Nosocomio chiuso in tutto e per tutto in gran fretta, senza accertarsi dell'efficienza del trasferimento nel devastato cantiere del Cto. Operativa al Santa Barbara resta la sola rianimazione. Lo sballottamento della paziente è solo agli inizi. Per adesso gli ospedali coinvolti in questo vai e vieni sono tre: Cto, Santa Barbara ad Iglesias, Sirai di Carbonia.

Nella giornata di Domenica subentra il quarto ospedale, il Brotzu di Cagliari. Un viaggio infinito, forse senza speranze.

Un parto, un calvario, la morte della giovane madre.

Si può nel 2017, in un paese civile, rincorrere la vita per quattro ospedali nel giro di 48 ore?

E' tutto appeso al fato? Al caso della vita?

Un fatto è certo, tutto questo non può essere sottaciuto. Per rispetto prima di tutto di questa giovane madre. Per rispetto di quel diritto alla vita e alla salute messo troppo spesso a repentaglio da gestioni dissennate e stolte di chi pensa che la salute sia un costo e non un sacrosanto diritto.

In questo caso c'è di peggio, una gestione che fa acqua da tutte le parti. Una Asl, quella del Sulcis, senza ambulanze del 118, costretta a rivolgersi ai volontari per avere i primi mezzi di soccorso.

Ecco, tutto qui! Drammaticamente.

Stare in silenzio, omettere, non significa rispettare una giovane madre. Significa semmai divenire complici di questa gestione.

So che la vecchia politica e questa malagestione sanitaria risponderanno con i toni dell'arroganza.

Non importa, avevo il dovere di proporre queste mie riflessioni e l'ho fatto. Per evitare che questi drammi possano ripetersi.

                            Mauro Pili