IL 22 luglio del 2002 annunciai alla massima assise istituzionale della Sardegna di aver conferito al Prof. Paolo Savona l'incarico di guidare un'equipe internazionale di economisti con il compito di redigere il nuovo piano di Rinascita della Sardegna.
In quell'occasione tracciai le linee guida del piano strategico e della grande riconversione economica e sociale dell'isola.
Il Piano predisposto dal Prof. Savona e dagli economisti venne poi approvato dalla mia giunta e venne inviato al governo per il confronto
La mia esperienza di governo si interruppe poco dopo.
Ripresi quel piano qualche anno dopo introducendo una norma fondamentale nel federalismo fiscale: art.22 legge 42/2009.
In quella norma si prevede: misurare e compensare il divario insulare. L'attuazione di quel riequilibrio ha una sola strada: il decreto attuativo del governo.
Norma che presentai subito dopo. Il 1° gennaio del 2010. Titolo della proposta di legge a mia firma, predisposta con la formulazione del decreto attuativo, era P.A.R.I.S., Piano Attuativo Riequilibrio Insulare della Sardegna. Un testo che riprende integralmente il piano di Rinascita predisposto per conto della mia giunta da Paolo Savona, e lo traduce in provvedimento legislativo con coperture finanziarie e disposizioni amministrative.
Occorre ripartire da lì.
Per questo motivo ripropongo il testo integrale del mio intervento nell'aula del Consiglio regionale del 22 luglio del 2002 con il quale delineavo la strategia del nuovo piano e annunciavo la nomina del prof. Savona a capo dell'equipe internazionale.
Come si suol dire guardavamo avanti e con largo anticipo.
Ora, contando sulla presenza autorevole di Paolo Savona nel governo appena varato, bisogna ripartire da lì, per non perdere altro tempo.
Su questo si misura la concreta attenzione di un governo e dello Stato verso la Sardegna e i Sardi.
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Martedì 22 Luglio 2002
Ha facoltà di parlare il Presidente della Regione On. Mauro Pili
PILI - Presidente della Regione.
Grazie, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, ho formulato nelle scorse settimane la richiesta, ai sensi dell'articolo 120 del Regolamento, di poter svolgere dichiarazioni in Aula allo scopo di promuovere un dibattito in relazione all'attuazione del Titolo III dello Statuto regionale, con particolare riferimento all'articolo 13, che recita "Lo Stato con il concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell'Isola".
E' un tema, colleghi, che ha impegnato per molti anni la classe dirigente dell'Isola. Ci si è posti ripetutamente il quesito: qual è il compito di questo piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell'Isola? Negli anni il dibattito ha suscitato apprezzabili differenze fra le forze politiche e non solo sulla durata del piano, sugli obiettivi, sugli strumenti e sulle risorse. E' stato un confronto quasi sempre giocato in casa, con un ruolo dello Stato teso più a limitarne gli effetti che a trarne un'importante opportunità di coesione economica e sociale.
Oggi, a distanza di quasi dieci anni dall'ultimo dibattito, a otto anni dall'ultimo provvedimento legislativo, e con davanti a noi un bilancio di tre interventi straordinari passati, si ripropone l'antico tema del rapporto con lo Stato, fondato innanzitutto su quella clausola contrattuale pattizia per la predisposizione di un piano organico di sviluppo per la nostra Regione.
In queste mie seppur brevi e limitate dichiarazioni tenterò, con l'ambizione di riuscirci almeno in minima parte, di individuare un metodo di confronto e una scala prioritaria di obiettivi da valutare. E' indubbio, colleghi, che ogni analisi ed ogni dibattito che abbiano la pretesa di essere risolutori finiscano per lasciare molti varchi indefiniti, ed è questo il motivo che mi induce a segnare questo momento solo come l'avvio di un confronto. Un confronto che spero sia franco, costruttivo, finalizzato non tanto a rimarcare le differenze che pure ci saranno, quanto a valorizzare i temi convergenti. Ecco, colleghi, se in questa fase, che è tutta propedeutica e preliminare alla stesura del piano organico nascesse in questo Consiglio un'idea, una comune valutazione di metodo e di contenuto, questa deve diventare patrimonio di questo dibattito.
Per questo motivo mi limiterò a tracciare alcune rapide considerazioni sul metodo, sugli obiettivi e sui contenuti, ben sapendo che in quest'Aula vi sono autorevoli esponenti che hanno vissuto in prima persona l'evoluzione autonomistica, con particolare riferimento al Titolo III, e che non potranno non rappresentare una sicura risorsa di esperienze e di contributi utili al dibattito.
Prima di tutto il metodo, colleghi. Anche nelle mozioni che si discuteranno nei prossimi giorni viene fatto polemico cenno ad un presunto tentativo di esautorare il Consiglio regionale da temi di rilevante importanza, come quello del Piano di rinascita. Colleghi, se qualche impressione in tal senso il comportamento mio o della Giunta avesse suscitato, manifesto qui nella massima Assise legislativa l'esatto contrario intendimento.
Il Consiglio regionale deve, infatti, rappresentare il confronto, l'indirizzo, la scelta strategica, ed è per questo motivo che la necessità di avviare una nuova fase di rinascita è stata anticipatamente posta nelle dichiarazioni programmatiche che ho reso al Consiglio regionale alla fine dello scorso anno. Dopo l'approvazione di due documenti programmatico finanziari, nel breve lasso di sette mesi, e il varo della manovra finanziaria per l'attuale esercizio di bilancio, ho chiesto al Presidente del Consiglio l'iscrizione all'ordine del giorno delle dichiarazioni della Giunta sul tema del Piano organico di rinascita. Sarà l'Assemblea a segnare con il proprio contributo l'evoluzione del confronto; nel frattempo la Giunta regionale ha voluto avviare una fase propedeutica all'elaborazione del Piano, di ricognizione e di verifica di ipotesi strategiche che rientrano nella sfera delle proposte possibili.
Abbiamo chiesto, ottenendone il consenso, al professor Paolo Savona, riconosciuto economista di prestigio internazionale, di poter guidare la fase delicata dell'elaborazione del piano stesso, fornendo alla Giunta e all'intero Consiglio quei supporti progettuali e strategici che potranno essere decisivi al fine di una attenta scelta degli obiettivi e dei contenuti stessi del piano. In questa fase, dunque, l'obiettivo è quello di una condivisa scelta del metodo, con l'elaborazione da parte del Consiglio, anche attraverso il lavoro delle Commissioni, di un piano di indirizzi da sottoporre all'attenzione della Giunta. Solo dopo questa compiuta fase e la definizione del lavoro di analisi si potrà avviare sin dal mese di settembre la stesura vera e propria del Piano. Nel frattempo è intenzione della Giunta promuovere una serrata azione di confronto con le forze politiche parlamentari, con gli enti locali, con le forze sociali ed economiche, con la società sarda, dall'università al mondo della cultura.
L'ascolto, colleghi, sarà per noi la regola, il confronto sarà il metodo. Il dibattito avrà tre fondamentali linee di riflessione: il rapporto Stato-Regione, il passaggio dall'emergenza alla strategia, i nuovi scenari europei e mediterranei.
In questi cinquant'anni di autonomia nel rapporto Stato-Regione si possono registrare almeno tre fasi di confronto legate al Piano di rinascita. Il primo è quello che risale al 1958, il dibattito che ha generato il primo Piano di rinascita, legge numero 588 del 1962. Allora fu un confronto a tutto campo, per un piano omnibus, rivolto e risolto tutto all'interno del territorio regionale, senza nessuna proiezione esterna, né economica, né strategica, molti furono i rivoli di spesa, molti i suoi limiti. Ed, infatti, la relazione della Commissione Medici, divenuta base di discussione per il secondo Piano di rinascita, rilevava alcuni limiti strategici proprio del primo Piano di rinascita, e si diceva "E' mancata l'aggiuntività dei fondi rispetto all'ordinario, si è registrata l'incertezza degli strumenti di coordinamento, ed infine i poteri delegati alla Regione sarda sono stati mortificati dalle procedure messe in atto dall'amministrazione centrale".
Su questi presupposti si costruì allora il secondo intervento, la legge numero 268 del 1974. L'obiettivo principale è quello di porre rimedio all'assenza di priorità del primo Piano, ma si finisce per fare scelte su settori e strumenti che alla fine risulteranno limitati ed intempestivi, registrando un sostanziale disimpegno dello Stato. Siamo al 1983, il Consiglio regionale avvia la fase elaborativa del suo terzo Piano di rinascita, che arriverà però solo undici anni dopo, con la legge 23 giugno 1994 numero 402, che reca "Provvedimenti urgenti per lo sviluppo economico e sociale della Sardegna". Lo stesso titolo della legge, quell'urgenti, lascia intendere i presupposti, l'urgenza siglata undici anni dopo, e l'assenza di un inquadramento strategico dopo due Piani di rinascita nati nell'incertezza della strategia e della temporalità.
Dunque, colleghi, la storia lunga, travagliata e molto spesso intempestiva dei Piani di rinascita ha segnato profondo il solco tra l'ambizione di sviluppo e di crescita e il rapporto tra lo Stato e la Regione. E negli anni a seguire si è sempre preferito un rapporto fugace, frammentario, disorganico ed emergenziale. Si è persa cioè l'ambizione di un popolo di essere protagonista dell'ideazione, della progettazione del proprio futuro, e si è invece lentamente arenata nelle incompiute la realizzazione del processo, e non è mai decollata la capacità di gestione dello sviluppo.
Oggi, colleghi, nonostante la perenne precarietà politica, di cui da anni la Sardegna è vittima, il nostro compito, non già di maggioranza o di minoranza ma di classe politica dirigente, è quello di avere la forza di riportare al centro del confronto la strategia dello sviluppo. L'emergenza, colleghi, ha generato in Sardegna altra emergenza, e il rapporto con lo Stato deve oggi sfidare la storia con la forza istituzionale di una Regione autonoma, con la fierezza di essere nazione, intesa come espressione di un popolo con le proprie specificità, tradizioni e culture che costituiscono un'identità esclusiva ed autonoma. Ecco, il nostro salto di qualità deve essere improntato a ridisegnare senza nessuna enfasi, ma con la giusta determinazione, un nuovo rapporto con lo Stato, segnato dalla chiarezza dei fini, con la concretezza dei mezzi. E per fare questo abbiamo inteso ripartire dal dettato costituzionale del nostro Statuto, che vincola lo Stato, ma anche la Regione ad un piano organico di sviluppo, ed oggi - come non mai - occorre superare la fase emergenziale per ritornare al metodo della strategia di governo.
Certo, colleghi, è evidente che mancano nel sistema politico sardo alcuni requisiti importantissimi, come la stabilità politica; ma è pur vero che ogni sforzo deve essere messo in campo, perché tale limite non diventi una condanna senza tempo per l'economia della Sardegna. Occorre, cioè, siglare un patto d'onore col quale le forze politiche tutte, di destra e di sinistra, a prescindere dalla contingenza politica si impegnino ad elevare il confronto sui temi ritenuti strategici e di suprema importanza per il futuro dell'Isola.
E la strategia oggi significa ripensare un modello di sviluppo, ben consapevoli che non ci potranno essere colpi di spugna per l'esistente, ma semmai graduali ma decisi riequilibri verso una scelta prioritaria di sviluppo. Occorre riorientare lo sviluppo, che non significa chiudere il frutto di tre piani di rinascita precedenti; molti di quegli episodi hanno, del resto, da soli segnato il passato, ma significa pensare con coraggio ad una scelta che sappia porre il sistema turismo come integrato processo di crescita, che metta in rete il processo produttivo, estendendo la propria base di consumo, ampliandone la stagionalità e rafforzandone l'apporto endogeno. Per essere più chiari, la nostra base di riferimento non deve essere la sola popolazione residente, ma quella che ogni anno transita sull'Isola. Più consumatori significa più produzioni; più produzioni significa più sviluppo; più sviluppo endogeno significa più occupazione; più occupazione significa crescita del sistema Sardegna. In quest'ottica la strategia deve puntare a ridefinire i paletti della pianificazione territoriale rispetto ai processi di sviluppo; deve riorganizzare le produzioni, calibrandole rispetto ai nuovi target di riferimento. Occorre sapere, e perdonatemi l'elementarità del concetto, quanti sono i consumatori, quali sono, cosa consumano, e in funzione di ciò orientare il processo integrato di sviluppo, dall'agricoltura all'artigianato, dalle infrastrutture alla formazione professionale.
Per questo motivo il piano di rinascita deve essere fondato su un'analisi puntuale che deve saper guidare l'intervento non rispetto ad ambizioni rivendicazioniste ma a concreti obiettivi di sviluppo. E in quest'ottica strategica la Sardegna deve tentare di colmare tutti i limiti provenienti dal passato, che hanno sin dal primo piano di rinascita illuso il contesto nazionale, europeo ed ancor di più quello mediterraneo. La Sardegna può trovare sviluppo solo se tiene conto di ciò che gli ruota attorno, solo se è in grado di diventare non un semplice gregario, o peggio succube, passivo spettatore, ma protagonista del proprio ruolo nello scenario sul quale si posiziona. Significa, cioè, guardare a progetti strategici con meno diffidenza, sapendo che la concorrenza è forte, ma che la ritrovata valenza insulare, unita a processi commerciali che si sviluppano sempre con maggiore insistenza nel Mediterraneo, possono aprire alla Sardegna nuovi scenari e nuove opportunità. Bisogna aprire quel flebile varco verso l'Europa, puntando a creare una vera e propria cerniera tra il vecchio continente e il nord Africa. Dobbiamo avere, cioè, il coraggio, la forza di puntare ad uno scenario che può apparire utopistico, lontano, irraggiungibile, ma che invece può essere a portata di mano: dal metanodotto alle fibre ottiche, dall'autostrada del mare alla valorizzazione culturale del Mediterraneo.
La strategia e gli scenari diventano i presupposti per alcuni obiettivi di fondo che si possono ipotizzare nel dibattito sul nuovo piano organico di sviluppo economico e sociale della nostra regione. Nonostante la storia economica della Sardegna e dei piani di rinascita non abbia segnato punte d'eccellenza, è pur vero che sarebbe un errore ignorare quanto nel bene o nel male è stato realizzato nel passato. Sarebbe un errore affermare che partiamo da zero.
La realtà oggi è un'altra: tutto ciò che la Sardegna ha costruito in questi cinquant'anni di autonomia appare slegato da un filo logico dello sviluppo economico, privo della necessaria visione strategica. Ed allora il primo obiettivo diventa quello di ottimizzare. Ottimizzare le infrastrutture rendendole sistema; integrare lo sviluppo territoriale delle zone interne a quelle costiere; integrare lo sviluppo settoriale rendendolo sistema; coordinare le nuove iniziative dal settore turistico e quello dell'information tecnology, facendole diventare sistema.
Ecco, se dovessimo soffermarci su un obiettivo, quello non potrebbe che essere la creazione del sistema Sardegna. Significa, cioè, con il minimo sforzo produrre il massimo utile; significa collegare le dighe esistenti per rendere razionale la pianificazione della risorsa idrica; significa collegare le arterie stradali con i porti e gli aeroporti perché strade a vicolo cieco diventino snodi intermodali cruciali per la crescita delle relazioni interne ed esterne. Significa che i poli di sviluppo tecnologico devono diventare funzionali ai centri abitati, alle zone interne e alle aree di insediamento produttivo e all'arteria di fibre ottiche che collega la Sardegna con il continente deve seguire l'infrastrutturazione secondaria. Significa che l'agricoltura deve saper trovare la strada per diventare sistema, dalla valutazione degli usi possibili del terreno, alla verifica dei potenziali di mercato, alla disponibilità idrica e infrastrutturale dell'area.
Per fare questo, colleghi, occorre dunque un piano direttore, che sappia coordinare la strategia rispetto agli obiettivi, agli strumenti, alle risorse e ai poteri. Il piano di sistema deve partire dalle precondizioni dello sviluppo, che si giocano tutte in casa ed altre fuori casa, consistenti e strategiche quelle fuori casa. Per quelle in casa cito, solo per memoria, alcune questioni aperte; dalla burocrazia asfittica ed asfissiante alle regole rigide e complesse, alla carenza di pianificazione, alla prevalenza del divieto piuttosto che dello stimolo positivo.
Nel rapporto con lo Stato, invece, assume un ruolo decisivo la questione infrastrutturale che si gioca su quattro aree di intervento di primaria importanza: la continuità territoriale interna ed esterna, dalla viabilità primaria, ai poli intermodali, ferroviari, marittimi ed aerei; l'infrastrutturazione idrica capace, appunto, di trasformare opere pubbliche in investimento e conseguentemente in sistema integrato; la questione energetica, con particolare riferimento alle reti trans-europee e mediterranee; e infine l'infrastrutturazione strategica dell'innovation tecnology, dai poli primari alla rete interna ed esterna.
Nel confronto con lo Stato assume particolare rilievo, infine, la questione delle risorse finanziarie, che devono essere articolate almeno su tre livelli: strategiche infrastrutturali, indispensabili per il piano di sistema infrastrutturale; le risorse indicizzate e parametrate, e le risorse aggiuntive legate all'insularità. Per quanto riguarda le risorse strategiche infrastrutturali occorre avviare il processo attuativo della legge obiettivo, definendo per ogni singola opera l'intervento dello Stato, della Regione e dell'Unione Europea. In questo caso occorre, sul modello già attuato in altre realtà europee, attivare un processo amministrativo autonomo che possa, con procedure straordinarie, mettere in campo nei prossimi cinque anni la realizzazione e il completamento delle opere strategiche di sistema. Le risorse indicizzate e parametrate rappresentano un'annosa vertenza con lo Stato, ancora ferma per gran parte ai livelli definiti nello Statuto regionale. Il confronto con lo Stato deve partire da un riequilibrio con le altre regioni a Statuto speciale, e nel contempo tutti, e dico tutti i trasferimenti statuari devono essere indicizzati al fine di evitare anche nel futuro eterne vertenze di riequilibrio. Nel quadro del piano di rinascita va posta la questione legata ai trasferimenti erariali, legati alle attività produttive svolte nel territorio regionale, ma che per ragioni fiscali producono un gettito riscosso da altre regioni. A queste risorse va aggiunto il tema dell'insularità, che diventa sempre di più un livello oggettivo, oltre che politico, di riferimento dei trasferimenti.
Con lo Stato e con la stessa Unione europea si pone la necessità di definire con certezza il livello di gap geografico permanente che l'Isola sopporta sia sul piano economico che sociale.
Questi tre livelli di definizione delle risorse devono trovare quegli indispensabili supporti d'analisi, indispensabili per un confronto col Governo che sia serrato e senza alcun tentennamento. In questo quadro è evidente che dovranno trovare spazio quelle azioni capaci di rendere sistema l'utilizzo di queste nuove risorse, con le risorse già destinate alle politiche di sviluppo, con quelle europee del programma operativo regionale.
Infine, colleghi, c'è la questione dei poteri. E' una materia tutta da giocare sui modelli europei già consolidati, dalla Spagna all'Irlanda. La specialità si gioca sulla velocità di adeguamento dei processi all'evoluzione economica. Il fallimento dei precedenti piani di rinascita è legato in parte alla intempestività. Quando si decise di fare scelte a sostegno dell'industria pesante, pensate in termini generici nel primo piano di rinascita, si arrivò a farli quando ormai quella stessa industria era al collasso. Oggi, con la consapevolezza dei limiti del passato, con l'incertezza del presente, abbiamo il compito di immettere comunque, attraverso un nuovo piano organico, strumenti e poteri straordinari che possano creare quel sistema Sardegna che è sinora mancato allo sviluppo dell'Isola.
Sono certo, colleghi, che se verrà un contributo costruttivo da ognuno di voi, questo di oggi non sarà un mero esercizio di intenti, ma potrebbe diventare un utile percorso per ridisegnare il futuro della nostra autonomia, moderna e concreta. Con questo spirito la Giunta ed io siamo protesi al confronto e al dialogo, perché la Sardegna possa trarre dal dibattito del Consiglio regionale quegli indirizzi chiari e decisivi necessari, determinanti per la crescita e lo sviluppo economico e sociale della nostra terra.